Cooperazione Noir

Cooperazione.

Noir in ospedale

Su gentile concessione di Cooperazione

Illustrazioni di Fabio Porfidia  



«Donazione involontaria»

di Roger Annen





«Lo sbaglio dei medici la terra ricopre!».

Mentre aprivo la porta della stanza, ricordai una delle citazioni preferite del nonno, in genere declamata davanti ad un quotidiano aperto alla pagina «dei morti», con una tazza di caffè in mano e gli occhiali puntati come testimoni dell’accusa sull’elenco dei defunti recenti, alla ricerca dei decessi «sospetti».

Lui era già lì.

Incrociai il suo sguardo, scoprendo che la tristezza colpiva anche le persone più forti.

Mi salutò, prima di tornare a concentrarsi sul corpo esanime della nonna, sul letto d’ospedale.

Lacrime di pioggia rigavano la finestra.

Ero accorso appena mi aveva chiamato. Mi ero precipitato guidando come un pazzo (anche se di solito i defunti non scappano), per non lasciarlo solo. Temevo che avrebbe fatto una scenata. Non era un tipo iroso, ma sospettoso sì. E in questo caso potevo capirlo.

Nonna Marta era stata ricoverata la notte prima per una semplice infezione al pollice procurata dal morso del suo gatto. Né io né il nonno ne avevamo capito il motivo. Sarebbe bastato un antibiotico e poi a casa, no? Marta non metteva piede in ospedale da quasi 40 anni ed aveva sempre avuto una salute formidabile.

La sera prima il personale del pronto soccorso si era meravigliato dello stato dei suoi valori. Pressione perfetta, vista d’aquila. I risultati delle analisi avevano generato espressioni stupite: a 70 anni la nonna aveva l’aspetto di una sessantenne e la salute di una giovane.

Eppure era stata ricoverata. Ordine del medico.

«Per sicurezza», aveva spiegato. «Ad una certa età non si sa mai»



La sagoma immobile adagiata sul letto pareva dormire, i bianchi capelli confusi nel candore del cuscino, il profilo delicato inciso nel marmo. I suoi genitori avevano coltivato per lei l’illusione di una carriera nel cinema. Ma poi lei aveva conosciuto il nonno.

Mi pareva di vederli. Lei bellissima e gioviale e lui un giovane poliziotto pieno di adorazione e di ambizione, in un’epoca  e in un luogo nei quali il futuro appariva come una mela succosa pronta per essere addentata.

Avevano avuto una vita felice ed ora lei era morta. Così, senza preavviso.

Il nonno stava in piedi, immobile e imponente nel suo impermeabile scuro. Niente a che vedere col tenente Colombo. Piuttosto un generale in pensione che osserva il risultato di un’azione di guerra malriuscita, mentre riflette su come punire il colpevole.

Le parole sciolsero il nodo che avevo in gola e riuscii a chiedere: «Si sa come sia successo? Stava così bene».


Incrociai il suo sguardo color del ghiaccio e, dietro la patina di dolore, scorsi dell’altro. Un abisso nel quale fremeva una rabbia repressa, a stento controllata. Non avrei voluto essere presente quando la lava che ribolliva in quelle profondità fosse eruttata in superficie. Ero felice che non circolasse più armato. Oppure sì? Forse gli investigatori in pensione potevano farlo.

Voleva dire qualcosa. Potevo avvertire, dietro l’ampia fronte, gli ingranaggi in movimento. Stava per condividere un segreto.












La porta si spalancò ed entrò un’infermiera con un carrello carico di oggetti misteriosi. Ci rivolse un saluto di efficiente empatia e si avvicinò al letto. Il nonno la osservava attento.

Volsi lo sguardo verso l’uscio e vidi una giovane donna in camice da medico, molto carina. Ci rivolse un saluto ed avanzò di qualche passo, stringendomi la mano. Aveva stupendi occhi verdi.

«Condoglianze», disse, con voce profonda e dolcissima. Un angelo, pensai.

Ero già conquistato. Notai che al polso portava un braccialetto colorato, un po’ kitsch, che contrastava con l’aria di austera professionalità. Nessuna fede all’anulare sinistro.

La dottoressa (con mio grande disappunto) si rivolse al nonno, che la fissava, scuro in volto.

«Mi spiace per la sua perdita, signor Ferri», disse, in tono professionale, «Ma dobbiamo occuparci subito dei trapianti. Come saprà, in questi casi bisogna agire con urgenza».

Le labbra del nonno divennero una linea sottile.  

«Di cosa sta parlando?», ringhiò.

La giovane fece un passo indietro.

«Nonno...», dissi, ma lui mi fulminò con lo sguardo.

La dottoressa si ricompose. «Sua moglie è... mi scusi... era una donatrice di organi e...»

«Donatrice? Che cosa sta dicendo?», la interruppe lui.

«Abbiamo trovato una tessera nei suoi effetti personali, dobbiamo agire subito. C’è un paziente che aspetta un trapianto di reni».

Mio nonno strinse gli occhi ed ero certo che stesse per piangere. Invece estrasse un cellulare dalla tasca e mormorò: «Potete venire».

«Se ci facesse la cortesia di uscire, noi...», disse la dottoressa.

Il nonno non si mosse, ed io non volevo lasciarlo solo. Permettemmo al silenzio di calare su ogni cosa, enfatizzando i suoni ospedalieri. Voci nella corsia. Passi strascicati, frettolosi, titubanti, decisi, in avvicinamento...


La porta si spalancò di nuovo ed entrarono due poliziotti, che rivolsero al nonno un cenno d’intesa.

«Arrestatela! Ha ucciso Marta», disse questi, indicando la dottoressa. «Ora conosco sia il movente che il colpevole. Questa donna riceve dei compensi in cambio di organi sani, uccidendo i degenti».

Lo fissai allibito. Doveva essere impazzito.

«La prova è qui», continuò il nonno, mostrando una piccola videocamera. «L’avevo lasciata sul comodino, collegata alla rete wireless, rivolta verso mia moglie. Volevo essere certo che stesse bene. Negli ultimi cinquant’anni abbiamo sempre dormito assieme ed era un modo per esserle vicino. Quando sono arrivato ho guardato il filmato e...»

Rivolse lo schermo verso i due poliziotti. Mi spostai per vedere. La nonna dormiva in posizione supina, illuminata da una tenue luce. Una forma confusa si avvicinò al letto. Un camice. Una tasca da cui sbucava uno stetoscopio.

Una mano avvicinò una siringa al tubo per la fleboclisi e vi iniettò qualcosa. Forse solo aria. Sarebbe bastato. Un dettaglio mi turbò. Un braccialetto colorato circondava il polso delicato di un angelo.